Andrea Zambianchi, «sacerdote nel cuore» come don Lorenzo Milani


Chi è?

Andrea Zambianchi nacque a Forlimpopoli il 13 ottobre 1966, primogenito di Angioletto Zambianchi ed Eleonora Campri. La sua formazione umana e religiosa passò anzitutto per la parrocchia di San Pietro a Forlimpopoli, sotto la guida del parroco don Roberto Rossi, dove s’impegnò come catechista. Entrato in contatto col carisma vincenziano dopo un’attività di volontariato con le Figlie della Carità di San Vincenzo De Paoli, sviluppò un forte interesse verso le persone povere ed emarginate.
Nel giugno 1988 subì il distacco della retina dell’occhio destro, del quale perse l’uso nonostante fosse stato operato, ma riuscì ugualmente a laurearsi in Giurisprudenza presso l’Università di Bologna. Iniziò poi a collaborare con varie testate giornalistiche, oltre che per alcune riviste cattoliche, con articoli su temi come l’aborto, la fame nel mondo, l’impegno dei giovani.
Nel 1992 entrò al Collegio Alberoni di Piacenza, per prepararsi all’ingresso tra i Padri Vincenziani. Tuttavia, dopo aver attentamente riflettuto, dall’anno seguente passò al Seminario Regionale di Bologna: era troppo forte in lui il radicamento nella vita parrocchiale e diocesana, pur senza dimenticare l’impegno per i più poveri.
Il 19 dicembre 1995 presentò domanda per ricevere il Lettorato, ma proprio quell’anno fu colpito da un tumore al fegato, al pancreas e a un polmone. S’impegnò per cercare di concludere la tesi di baccellierato, che volle dedicare a don Lorenzo Milani e al suo rapporto con la Chiesa. S’iscrisse anche all’esame di selezione per la facoltà di Psicologia a Cesena, dove sperava di capire meglio i giovani e i malati mentali.
Morì in casa sua, a Forlimpopoli, nella notte tra il 22 e il 23 settembre 1996; venti giorni dopo, avrebbe compiuto trent’anni.

Cosa c’entra con me?

Era il 2013, quando ho comprato un libro sul diacono Mauro Fornasari, nato a Longara (BO) il 22 aprile 1922 e ucciso il 5 ottobre 1944 nella località di Gessi, sempre in provincia di Bologna. Tuttavia, è ancora tra i libri che devo finire di leggere, perché mi sono fermata, davvero, alle prime pagine.
Il motivo è che a pagina 7 è riportata una lapide che è nel Seminario Regionale di Bologna, dove sono elencati i “martiri e confessori” (così definiti sulla stessa iscrizione) passati di lì. Qualcuno mi era già noto, come Bruno Marchesini, ma il nome di Andrea Zambianchi, penultimo della lista, mi colpì: perché era qualificato seminarista, ma soprattutto perché era morto in epoca abbastanza recente.
Non ci volle molto perché cercassi il suo nome su Internet: tutto quello che mi riuscì di trovare furono due righe biografiche nella scheda bibliografica della sua tesi, edita dalla EMI di Bologna, e una rapida menzione in un sussidio della Pastorale Giovanile della sua diocesi. Pensando che facesse proprio al caso mio, ma allo stesso tempo sospirando perché era l’ennesimo caso di seminarista scomparso prima dell’ordinazione che mi capitava di conoscere, ho proseguito le ricerche, trovando in un negozio online di libri usati una copia di Togliete la pietra, la raccolta dei suoi scritti.
Ho letto quel volume con un groppo in gola, specie nei punti in cui Andrea rivela la sua decisione di «portare la croce senza sentimentalismi» (sono parole sue) e i momenti dove esprime il suo sconforto, superati con l’aiuto della preghiera e di tanti amici, sacerdoti e non. I suoi strali contro l’aborto e contro l’inattività dei giovani, invece, mi hanno fatto rabbrividire, mettendomi a confronto con la mia inadeguatezza: forse avrei dovuto anch’io impegnarmi per qualche ideale piu nobile di quello di divulgare storie che forse interessano a pochi. Però sentivo di dover andare a fondo con lui, di dover raccontare la sua vicenda, solo apparentemente identica a tante che avevo già visto altrove.
Così, incrociando i dati che avevo a mia disposizione, ho mandato un’e-mail a tutte le realtà che mi sembrava potessero aiutarmi: la Pastorale Giovanile della diocesi di Forlì-Bertinoro, la parrocchia di San Pietro a Forlimpopoli, perfino don Roberto Rossi, che fu suo parroco. La posta elettronica non riceveva risposta, quindi sono passata alle telefonate: se non ricordo male, mi risposero in parrocchia, lasciandomi i recapiti di Angioletto, il padre di Andrea.
Avevo una gran paura di ricevere risposta negativa alla mia decisione di scrivere un suo profilino, ma il signor Angioletto fu decisamente favorevole. L’unico problema era che non disponeva della posta elettronica, quindi ho dovuto mandargli una lettera con la bozza del mio primo articolo stampato.
Il 22 ottobre 2013 mi arrivò la risposta, insieme a una copia della tesina su don Milani. Non solo: c’era anche un’immaginetta-ricordo, che ritraeva Andrea insieme a Giovanni Paolo II, all’epoca ancora Beato. Ricordo la data precisa proprio perché era la memoria liturgica del papa polacco e perché, quel giorno, ero tornata a casa da un colloquio di lavoro che si era rivelato una truffa.
L’articolo, alla fine, è stato pubblicato su santiebeati.it il 29 novembre 2013. Già l’anno scorso avrei voluto scrivere qui di Andrea, ma ho dimenticato di cogliere l’occasione sia del cinquantesimo anniversario della nascita, sia del ventesimo della morte. In compenso, gli ho assegnato una stazione della mia Via Crucis Sui passi del Maestro, precisamente l’undicesima dello schema biblico (“Gesù promette il suo regno al buon ladrone”).

Il suo Vangelo

Il modo energico con cui Andrea comunicava i suoi intenti e con cui sferzava i suoi lettori lo rende molto somigliante nello spirito a don Lorenzo Milani, che aveva scoperto dodicenne e che considerava suo ispiratore nelle scelte fondamentali della vita, non ultima quella del sacerdozio. I poveri e i malati erano le persone che prediligeva e alle quali era realmente vicino, non solo a parole: ad esempio, auspicava che nella formazione dei futuri sacerdoti non dovesse mancare un'adeguata preparazione ad affrontare il dolore fisico, nella propria persona o in quelle degli altri. Lui per primo cercava, con la sua presenza in Seminario, di aiutare in tal senso i suoi compagni.
Ma non era un eroismo sterile, il suo. Sapeva infatti dove fondare la sua esistenza, come scriveva nel maggio 1992 sulla rivista «Vita Religiosa»:
In Gesù si riassume tutto il senso della storia e della mia vita personale. La svolta della mia vita che mi ha portato a seguire Cristo è stata la presenza di Gesù negli affaticati e oppressi, la commozione di Gesù di fronte ale folle povere, bisognose di una guida. Oggi come non mai il mondo ha bisogno di testimoni di Cristo, preparati, pronti a non risparmiarsi, a dare tutto per amore.
Per quel che ho capito di lui, Andrea ha provato a essere così. Non potevo fare altro, quindi, che contribuire a far riecheggiare la sua esperienza e riprendere nel titolo del post la definizione che il suo vescovo diede di lui, nel giorno dei suoi funerali.

Per saperne di più

Filippo d’Elia – Andrea Zambianchi, La Chiesa di don Milani – Profeta del rinnovamento, Editrice Missionaria Italiana 2008, pp. 192, € 11,00.
La tesi di baccellierato di Andrea, pubblicata per interessamento del professor D’Elia, insegnante di Religione in una scuola media di Taranto.

Commenti

Posta un commento

Post più popolari