Antonio abate: il fuoco nel deserto

Statua di sant’Antonio Abate 
all’esterno della chiesa di via Sant’Antonio 5 a Milano (fonte)
Chi è?

Antonio nacque a Coma in Egitto (oggi Qumans) intorno al 250 d. C. Dopo aver ascoltato durante una celebrazione eucaristica l’invito del Vangelo a lasciare tutto per seguire il Signore in maniera più perfetta, vendette l’eredità ottenuta dopo la morte dei genitori. Affidata sua sorella ad alcune vergini consacrate, si diede a vita eremitica, guadagnandosi il vitto con semplici lavori.
Prima risiedette in un’antica tomba scavata nella roccia, poi in una fortezza abbandonata sui monti del Pispir; infine si stabilì nella regione della Tebaide, nell’Alto Egitto, dove visse fino alla morte.
Ricercato da molti per i suoi consigli e le sue indicazioni per una vita più perfetta, curò la formazione di due comunità cenobitiche* e lui stesso chiese consigli a chi riteneva più saggio ed esperto. Vinse le tentazioni che gli venivano tramite l’intensa preghiera e la consapevolezza di avere sempre Dio dalla sua parte.
Uscì dal suo isolamento solo nel 311, per confortare i cristiani di Alessandria d’Egitto, perseguitati dall’imperatore Massimino Daia, nella speranza di ottenere il martirio. Morì invece il 17 gennaio del 356, superati i cent’anni d’età.
I suoi resti mortali, sepolti in una località segreta, furono portati in Francia nel XI secolo. È invocato contro l’herpes zoster (popolarmente detta “fuoco di sant’Antonio”) e le malattie della pelle in genere, ma anche come protettore del bestiame (e degli animali domestici, per estensione) e di quanti hanno in qualche modo a che fare con il fuoco.

*i cenobi sono comunità monastiche dove i confratelli vivono sotto la guida di un superiore comune.

Cosa c’entra con me?

Il modo con cui sono entrata in contatto con sant’Antonio abate è grosso modo simile a quello con cui ho conosciuto il suo omonimo e fondatore dei Barnabiti, di cui raccontavo qui: nella mia parrocchia di nascita, infatti, c’è un altare dedicato a tutti i più famosi santi col nome di Antonio. Per la precisione, lui è indicato con la scritta «Eremi robustus habitator»«Forte abitante dell’eremo», che spicca sulla cancellata a protezione dell’altare. Ero molto piccola quando me lo spiegarono: prima conoscevo appena sant’Antonio di Padova e non sapevo che potessero esserci più santi con lo stesso nome.
Ormai cresciuta, ho approfittato di una collana in uscita con Famiglia Cristiana per comprare un’edizione della sua Vita scritta da un altro personaggio a sua volta sugli altari: sant’Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto. Di quella lettura mi rimase impressa soprattutto la decisione di Antonio, già in giovane età, di abbandonare il mondo per essere più vicino a Dio: doveva avere sui diciotto o vent’anni. Piccola parentesi: mi piacerebbe indagare, prima o poi, quali santi abbiano scritto la biografia di altri santi.
Grosso modo a quell’epoca, avevo iniziato a frequentare la chiesa a lui intitolata, nei pressi dell’università dove studiavo: in più di un’occasione ho partecipato alla Messa feriale delle 12.30 che ancora adesso viene celebrata.
Dopo i primi esami, passati con voti ottimi, mi ero messa in testa di darne due orali in altrettanti giorni consecutivi, per non perdere il ritmo suggerito per anno di studi: tuttavia, quella volta, i risultati non furono all’altezza. Ero parecchio abbattuta e sentivo che il mondo mi stesse per crollare addosso; vi assicuro che non scherzo.
Un giorno, proprio mentre ero sul punto di toccare il fondo, sono andata nella chiesa di Sant’Antonio Abate a pregare, complice un’ora buca o un momento di pausa, non ricordo. Osservando la pala dell’altare maggiore, mi sono ricordata di un altro dettaglio della biografia: quando, racconta Atanasio, i demoni avevano aggredito Antonio sotto forma di bestie feroci. «UBI ERAS / DOMINE IESU / UBI ERAS», ossia «Dov’eri, Signore Gesù? Dov’eri?», è scritto sulla cornice del dipinto, riprendendo la sua domanda quando Gesù in persona gli apparve.
Anche a me era capitato, in quell’apparente fallimento universitario, di chiedermi dove fosse finito il Signore, d’interrogarlo sul perché non mi aveva favorita come nei primi esami. La risposta, contenuta nella biografia, è: «Antonio, ero là! Ma aspettavo per vederti combattere». Ripensandoci, la prova non consisteva nel non aver superato gli esami al massimo dei voti – per la cronaca, avevo preso due 26 di fila – quanto nel prendere nel modo giusto quel leggero intoppo nel mio percorso universitario. Anni dopo, quando ho avuto davvero problemi, ho ripensato a quel momento e mi sono consolata, sapendo che il Signore era comunque al mio fianco.

Il suo Vangelo

Sant’Antonio abate, o meglio, abba (“padre”) Antonio, è famoso soprattutto per la sua lotta contro le tentazioni demoniache, personificate in animali feroci o in donne discinte, come spesso si vede nelle opere d’arte che lo raffigurano. La sua grandezza risplende tanto più quanto più si pensa anche ai suoi momenti di sconforto, come quello del quadro che sopra ho cercato di descrivere, o ai tentativi di fuggire dal mondo, che comunque veniva a cercarlo.
Non odiava le persone che lo circondavano, altrimenti non avrebbe lasciato loro lettere, pensieri, consigli che formano i Detti o Apophtegmata attribuiti a lui o ad altri Padri del deserto. Voleva tenere lontane le distrazioni, ma col tempo comprese che non doveva abbassare la guardia. Il Detto 11 infatti riporta:
Disse ancora: «Chi dimora nel deserto e cerca la pace è liberato da tre lotte: quella dell’udito, della lingua e degli occhi. Gliene resta una sola: quella del cuore».
Anche le nostre città possono apparire dei deserti e le nostre periferie essere considerate, per certi aspetti, una Tebaide moderna. Il compito di chi assume l’esempio di Antonio come guida è ripopolarli per essere, a propria volta, un segno di fiducia per chi crede e per chi dice di non credere.

Per saperne di più

Graziano Pesenti, Sant’Antonio Abate. Padre del monachesimo, Velar-Elledici 2009, pp. 48, € 3,50.
Una valida sintesi della sua storia con abbondanti illustrazioni.

Lisa Cremaschi, Antonio e i Padri del deserto. Invito alla lettura, San Paolo 1999, pp. 94, € 6,20
Una guida alla scoperta della sua spiritualità, con una selezione di testi.

Sant’Atanasio – Sant’Antonio Abate, Vita di Antonio. Detti, lettere, Paoline 1995, pp. 318, € 25,00
Un’edizione completa e annotata della biografia, integrata dai trentotto Detti e dalle sette Lettere considerate autentiche.

Laura Fenelli, Dall’eremo alla stalla - Storia di sant’Antonio Abate e del suo culto, Laterza 2011, pp. 190, € 20,00.
La ricostruzione, a opera di una studiosa, della diffusione della sua storia e del suo culto specie nel bacino mediterraneo, compreso il suo passaggio da modello dei monaci a protettore del bestiame.

Michele Bortignon, Alle radici della notte - Un cammino spirituale sui passi di abba Antonio, Edizioni Messaggero 2014, pp. 220, € 19,89.
Una biografia romanzata, che pone l’accento, più che sui prodigi, sui travagli interiori e le prove del santo eremita.

Commenti

Post più popolari